Musica ai tempi di Bertrando d’Aquileia

Novembre 22, 2015
Venzone (UD)

Domenica, 22 novembre 2015
Duomo di Venzone – Venzone (UD)
ore 17.00

MUSICA AI TEMPI DI BERTRANDO D’AQUILEIA (1334 – 1350)

Programma

Missus ab arce
cantus planus binatim (str.)

Liber generationis
aquileiese

Missus ab arce
cantus planus binatim (voci)

Quam ethera et terra
cantus planus binatim

Puer natus
monodia aquileiese

Ad cantum lacticiae
cantus planus binatim

Lamentationes Jeremiae prophetae
aquileiese

Kyrie
cantus planus binatim

Planctus Mariae
dramma liturgico sec. XIV

Popule meus – Improperia
gregoriano

Lectio Libri Exodi
aquileiese

submersus jacet phatao
cantus planus binatim

Sonet vox ecclesie
cantus planus binatim (str.)

In ressurrectione Domini represaentatio
dramma liturgico sec. X/V

CAPPELLA ALTOLIVENTINA
Sandro Bergamo,
Eugenia Corrieri,
Lisa Friziero,
Claudia Grimaz,

Michele Morassut,
Martina Zaccarin
cantori
Claudio Sartorato
piffari, cromorni, simphonia, cornamusa, percussioni, flauti
Federico Xiccato
cornetto, flauti
Carla Manzon
regia
Sandro Bergamo
direzione

 

Come fiori da un terreno ricco di humus, come evangelici semi gettati su terreno fertile, germinano dalla monodia sacra nuove forme che imprimono alla musica una svolta epocale.
La promiscuità tra voci adulte e voci di bambini aveva da sempre determinato, nei lesecuzione in ottava del repertorio gregoriano. Ma questo non è percepito come alterazione del suo carattere monodico. La prassi, questa si ritenuta polifonica, di doppiare la linea melodica alla quinta o alla quarta, è attestata fin dall’anonimo Musica enchiriadis del IX secolo e ripresa con più vasto orizzonte teorico da Guido Monaco all’inizio dell XI.
Ma è a partire dal XII secolo che la seconda linea si sgancia dal semplice raddoppio della melodia, dando inizio al contrappunto che per secoli domina la musica occidentale. Lo studio condotto nei secoli precedenti attorno agli intervalli e al concetto di consonanza consente ai compositori di affrontare la creazione di una linea completamente nuova da sovrapporre a quella preesistente mentre la determinazione di precisi rapporti di durata e l’elaborazione di una scrittura capace di esprimerli permette la gestione contemporanea di autonome linee di canto.
Nascono così le prime forme polifoniche: l’organum, il conductus, il discanto, termini il cui significato varia da autore ad autore, rendendo talora arduo al moderno esecutore capirne il senso.
La definizione di discanto, applicata alle composizioni del cod. IVI della ex-Biblioteca Capitolare di Cividale e in realtà moderna. I contemporanei, come il teorico Proscocimo de Beldemandis, preferiscono il termine cantus planus binatim, nome che suggerisce una esecuzione a ritmo libero. Rara, comunque, l’esecuzione a più voci, all’inizio del Trecento e in grado, con il suo solo esserei, di solennizzare una cerimonia: per questi i brani contenuti nel codice si applicano alla liturgia di Natale, di Pasqua e di santi particolarmente venerati nella diocesi aquileiese.
E ancora una navigazione di piccolo cabotaggio, non perché di scarso valore artistico, ma perché il compositore non osa affrontare il mare aperto della creazione e mantiene in vista la costa della preesistente melodia liturgica: ragioni teologiche, più che tecni-che, garantendo la fedeltà alla monodia sacra (rappresentata nelle miniature come suggerimento diretto della colomba dello Spirito Santo al grinde Gregorio) la sacralita anche della composizione polifonica. Chi si lancia più coraggiosamente nella composizione di nuove melodie, pur nella continuità con lo stile e l’estetica della monodia sacra, è l’autore di drammi liturgici tanche in questo caso, denominazione creata dagli studiosi in epoca moderna, usando il medioevo una pluralità di termini – representatio, ordo, processus, versus, officium… – tra i quali dramma* non è contemplato), la cui musica rimane, di necessità, monodica.
È altro, e più profondo, il legame con la liturgia: il memoriale dell’Ultima Cena, con la ripetizione dei gesti di Cristo, l’abitudine, viva ancor oggi, a distribuire la lettura della Passione tra più lettori, ciascuno con un ruolo diverso sono altrettanti spunti per ampliamenti drammatici. Alcuni testi, legati alla Pasqua e contenenti un accenno di dialogo (Quem queritis, Victimae Paschali) suggeriscono ripartizione di ruoli tra i cantori e l’affiancamento del gesto o addirittura della scena per una più efficace comprensione del vangelo.
Di norma questi drammi si rappresentano non durante la Messa, ma al termine dell’Ufficio della Letture: è la ragione per cui (senza pretesa di ricostruzione liturgica: ce ne manca il materiale, volendo restare nell’ambito di un repertorio aquileiese, ancor vivo ai tempi del Patriarca Bertrando) dopo una serie di brani rievocanti la promessa salvifica (come usasi da sempre nella veglia pasquale), seguono due drammi legati alla Passione e alla Resurrezione del Signore.
L’efficacia pastorale della drammatizzazione (ben nota ai Gesuiti che ne rilanciarono la pratica, giunta fin quasi a noi con le moltissime filodrammatiche parrocchiali diffusissime nel secolo appena trascorso)
s’impose anche nel medioevo. Il dramma liturgico abbandono il latino, imparò le lingue volgari, usci di chiesa e sul sagrato o sulla piazza divenne Mistero, Sacra Rappresentazione, Miracolo. Ma questa è un’altra storia, che magari si racconterà un’altra volta.